PALAZZO SANTAGAPITO
Il Palazzo fu in origine proprietà della potente famiglia dei Santagapito,antica nobiltà risalente al XII secolo proveniente dalla contea di Isernia già nel periodo longobardo. Il palazzo passò successivamente nella disponibilità dei Caracciolo del ramo Pisquizi ed è attualmente abitato dai discendenti di detta famiglia. L’imponente palazzo ha dato ospitalità nel corso dei secoli ad importanti esponenti del potere temporale e religioso. Esso sorge a ridosso della più antica cinta muraria della città romana e su un lato del palazzo stesso era appoggiata una porta della città che immetteva nella attuale piazza Duomo.
La furia distruttiva della seconda guerra mondiale ha purtroppo cancellato una parte del palazzo, ivi compreso il bellissimo salone interamente affrescato nel quale si svolgevano feste e ricevimenti e sul quale si apriva l’elegante soppalco dal quale scendevano le note di una piccola orchestra da camera.
Nella sera del 26 ottobre 1860 un piccolo corteo formato dal re Vittorio Emanuele II e dal suo seguito attraversò le vie del centro tra due ali di folla. Alla fine del corso il Re trovò ad attenderlo sul portone del palazzo il Conte Caracciolo. Il Re fece ingresso nel palazzo illuminato dalle fiaccole rette dai servi e fu accompagnato dal conte fino al salone affrescato dove era stato approntato un pranzo a base di pesce preparato dal cuoco di famiglia, il cosiddetto “monsiù”.
Nel Palazzo Santagapito il Re si fermò per tre giorni, seguendo da questo punto di osservazione privilegiato lo sviluppo della ritirata dei Borboni verso Gaeta. La mattina del 29 ottobre, quando apparve ormai definita la situazione militare del fronte di Gaeta, il Re lasciò Teano per recarsi a Napoli e continuare l’opera di costruzione dell’Italia unita.
LA PORTELLA
Era una delle sette porte che si aprivano nella cinta muraria della città. La porta immetteva nel bel sottoportico ancora integro e consentiva di raggiungere in pochi passi il complesso monastico di Santa Maria De Foris. La Portella rappresentava una comunicazione diretta e immediata tra il quartiere della Viola, abitato prevalentemente dal ceto artigiano e da braccianti, e la vasta campagna esistente a sud della città.
MONASTERO DI SANTA MARIA DE FORIS
Il Monastero di S. Maria De Foris, così chiamato per distinguerlo da quello De Intus che invece si trovava dentro la cinta murale, è collocato in posizione incantevole: delimitato dalla via Calata S. Maria De Foris a sud, dalla via della Rua, ora Nicola Gigli ad est, e dalla via del carcere a Nord e dalle Rampe ad Ovest. Comprendeva l’Ospedale Civile e la parte di proprietà delle suore di S. Caterina.
Tre cortili con fontane ed alberi davano aria e luce alla vasta costruzione. La Chiesa a tre navate occupava il lato meridionale e vi si accedeva per un portico di stile lombardo da via Calata S. Maria De Foris.
CHIESA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE
Mons. D. Giordano riferisce l’opinione dei PP. Domenicani ai quali apparteneva la Chiesa: secondo il P. Emera, nel suo alfabetico Agostiniano, la Chiesa fu fondata nel 1390, ma il P. Torello la crede più antica. Il convento fu soppresso da Innocenzo X con la Bolla Instauranda che nel 1652 ordinava l’abolizione dei piccoli conventi e fu unito al Seminario da poco fondato. I seminaristi vi restarono poco tempo, perché si trasferirono nei locali presso la Cattedrale. Verso il 1697, 27 luglio, monastero e chiesa con l’organo e le campane, furono ceduti alla Congrega del Soccorso, con l’onere di pagare al Seminario più di 270 ducati e fornire al cappellano del Seminario quanto era necessario per la celebrazione di oltre 78 messe, come si evince dall’Istrumento del Notaio Conti e dalla S. Visita di quell’anno.
Presso la Chiesa vi era un xenodochio (struttura di accoglienza degli ospiti) affidato ai fratelli laici dei Celestini che nel 1339 fu trasferito a S. Nicola dei Greci. Dalla soppressione dei Celestini, fino al 1754, lo xenodochio appartenne al Seminario. Il Vescovo Domenico Giordano vi trasferì la Parrocchia di S. Marco, con l’onere di una libbra di cera “pro ricognizione”. La Parrochia di S. Marco si trovava presso la parte inferiore della città ed era molto umida, tanto che nel 1713 il vescovo, in Santa Visita, ordinò che i sacramenti fossero amministrati nella Chiesa di S. Michele. Alla Parrocchia di S. Marco, il Vescovo Gerolamo Michele Nichesola, con decreto del 6 aprile, unì le parrocchie di S. Onofrio e di S. Agostino extra moenia.
Deve il suo nome al colore viola con cui furono tinteggiate le case del quartiere durante la peste che falcidiò la popolazione di Teano, segnalando in tal modo il pericolo che incombeva su chi si fosse introdotto nel quartiere. Fitta rete di vicoli, di sottoportici, di cortili, era abitato prevalentemente dal ceto artigiano, da contadini e braccianti. Accanto a piccole e povere abitazioni il quartiere contiene al suo interno – e sono visibili tutt’oggi – edifici di imponenti dimensioni e di eleganza costruttiva nei quali viveva una agiata borghesia terriera e rappresentanti del ceto militare che curava la difesa della città bassa. Infatti lungo il lato del quartiere Viola che si affaccia sul Borgo Sant’Antonio Abate, è ancora visibile il camminamento delle sentinelle che vigilavano su uno dei tratti più importanti della cinta muraria che proteggeva la città.
CHIESA DI SAN MICHELE
Posta lungo l’antica Rua , oggi Via Nicola Gigli, la chiesa di S. Michele fa quasi da sostegno al giardino pensile di S. Maria De Foris, attualmente inglobato nell’ospedale.
La chiesa ha un aspetto modesto, con l’ingresso preceduto da una ripida scalea di dieci gradini, fiancheggiata a destra dai Gradoni Nuovi e forse per queste connotazioni esterne non lascia intendere la discreta ampiezza dell’interno.
Fino agli anni Sessanta del secolo scorso vi si celebrava ogni anno, il 29 settembre, la festa di S. Michele. Progressivamente la chiesa ha perso del tutto ogni uso cultuale, finché il terremoto del 23 novembre 1980 ne esasperò quell’inagibilità che decenni d’incuria le avevano già inferto. Fu eseguito un mastodontico puntellamento con grosse travi di legno dolce facili a marcire, che venne meno ben presto alla sua presunta funzione di tutela dell’incolumità pubblica e di salvaguardia del monumento. Passarono gli anni, più di venti, senza che fosse eseguito alcun intervento; sparì del tutto il manto di coppi lasciando la volta a far da spugna alle intemperie e anche la graziosa cuspide del campanile cominciò a sgretolarsi, riversando a più riprese sulla strada i suoi conci.
La chiesa invero, oltre l’armonia delle strutture e dei volumi, non presenta elementi decorativi o opere d’arte che la rendano apprezzabile. Forse, un tempo c’erano….
Essa però ha un’importanza storica che merita di essere sottolineata. Era in origine dedicata a S. Marco e sede dell’omonima parrocchia che poi fu trasferita nella chiesa della Madonna delle Grazie e oggi risiede in S. Maria La Nova.
La relazione alla Visita del Vescovo Giordano, celebrata nella chiesa di S. Marco il 21 luglio 1754, è l’unica fonte di notizie sulla sua storia. La parrocchia aveva un territorio di ridotte dimensioni, racchiuso tra la parrocchia di S. Pietro in Aquariis, quella vicinissima dei SS. Cosma e Damiano (S. Maria de Foris) e la murazione medievale intorno alla porta della Rua. Nel 1753 contava 626 anime, di cui 280 maschi e 346 femmine, benché nel 1556 le fossero state unite altre due piccole parrocchie, S. Onofrio e S. Agostino. La prima doveva trovarsi nella zona della Viola e la citata S. Visita ne indica le vestigia nella casa di un tal Giuseppe Notarianni; della seconda, sita extra mœnia , non esisteva più traccia già al tempo del vescovo Giordano, tuttavia da antichi istrumenti l’estensore della Visita dedusse che doveva essere ubicata presso la porta di S. Maria la Nova.
La parrocchia aveva un discreto peso di messe, segno di cospicui lasciti, e l’altare laterale di S. Lucia era di patronato delle estinte potenti famiglie teanesi dei Lotterio e dei Magno. Era però pervasa dall’umidità e il Vescovo Giordano, a conclusione della visita, si riservò di decidere sul trasferimento della parrocchia in altra chiesa.
Non è dato sapere quando la parrocchia fu effettivamente trasferita e quando la chiesa mutò titolo in S. Michele. Certo è che sul finire del secondo millennio era ormai prossima al collasso finale.
Nel 2001 la Soprintendenza ai beni architettonici di Caserta è autonomamente intervenuta a salvarla. La facciata ha riassunto l’aspetto settecentesco e cela a meraviglia i pur vigorosi interventi strutturali, effettuati con tecniche modernissime per assicurarne la staticità compromessa da lesioni che percorrevano l’intero prospetto e la volta. Anche i contrafforti, realizzati secoli addietro sulla parete laterale sinistra, sono stati ripristinati con lo stesso tufo piperino che mette in mostra ora un gradevole senso di contrasto con il fresco intonaco giallino e le ricche cornici del timpano. Il lungo corridoio sul lato dei Gradoni è stato coperto, com’era in origine, con piccole terrazze che lasciano vedere le mensoline di tufo che un tempo reggevano le armature della tettoia a protezione dei finestroni laterali.
CARCERE VECCHIO
Il carcere vecchio venne innestato sul una parte dell’antico Convento Francescano, sfruttandone a pieno le caratteristiche strutturali: infatti le antiche celle dei monaci che affacciavano sul cortile interno furono riadattate a celle per i pochi ladri di pollo che scontavano piccole pene o erano in attesa di giudizio. Il chiostro interno del convento divenne cortile per l’ora d’aria dei carcerati. Al piano superiore abitava con la sua famiglia don Luigi “il carceriere” che con la sua bonarietà trattava i detenuti come persone di famiglia. Ai carcerati era concessa massima libertà di movimento all’interno della struttura e i carcerati ricambiavano don Luigi aiutandolo in tutte le faccende inerenti la tenuta del carcere. Con la costruzione del nuovo carcere in Viale Sant’Antonio, il vecchio carcere fu abbandonato per lungo tempo per poi diventare sede di uffici comunali.
PORTALE PALAZZO ABENAVOLO
Sul corso Vittorio Emanuele si aprono diversi palazzi risalenti al XV secolo che presentano portoni d’ingresso incorniciati da portali di rara bellezza. Si tratta per lo più di portali intagliati in pietra grigia tenera e decorati riccamente secondo una moda ispanica. I palazzi ai quali detti portali appartengono risalgono al periodo aragonese quando architetti spagnoli venuti inizialmente a Napoli per volontà di Alfonso d’Aragona ampliarono il loro campo di azione a tutta la Campania, lasciando straordinari esempi di quella architettura cosiddetta “catalana” in molte città di Terra di Lavoro, tra cui Teano. Di particolare bellezza è il portale del palazzo quattrocentesco che secondo la tradizione era di proprietà della famiglia Abenavolo, uno dei prescelti da Ettore Fieramosca per partecipare alla disfida di Barletta.
CHIESA DI SAN PIETRO IN AQUARIIS
Il titolo di S. Pietro in Aquariis, secondo D. Giordano, deriva o dalle molte acque che scorrono sotto la chiesa o da una fontana che era nel suo vestibolo e fu rimossa nella metà del 1700 dal Parr. Portauova o dalla famiglia De Aquariis che abitava nelle vicinanze.
La Parrocchia è molto antica, si trova ricordata in un inventario della Chiesa di S. Salvatore del 1300, conservato nella S. Visita del 1665 e nelle schede del notaio De Latinis dell’anno 1510. Nel 1539 col consenso del Parroco e del Vicario Generale Bernardino Romano, con atto del notaio Scalaleone fu ceduta agli economi e procuratori della Parrocchia di S. Maria a Maiella, oggi Madonna delle Grazie, presso la Porta della Rua, con l’orto ed i beni, perché vi costruissero uno Xenodochio, cioè, ospizio dei forestieri.
Nel 1566 il vescovo Gerolamo Nichesola unì a questa Parrocchia le rendite della Parrocchia di S. Nicola dei Greci, così meschine che il Parroco non poteva viverci; nel luogo della chiesa fu costruito il convento di S. Caterina. L’unione fu fatta in perpetuo con tutti i diritti, beni, appartenenze, oneri ed onori. Presso la Chiesa era un xenodochio i cui amministratori erano nominati dall’università (comune). Nel 1590 il Vescovo Vincenzo Serafino unì l’ospizio alla sacrestia della Cattedrale: ne nacque una lite con l’università, fu fatto appello alla Curia metropolitana ed il provvedimento fu annullato. Migliore sorte ebbe l’annessione alla Parrocchia di S. Pietro dal Vicario Apostolico Pietro Villano nel 1597 e confermata nel 1605 dal Vic. Ap. Geminiano Anzalonio. Ma Marcello e Camillo Lotterio riuscirono a farlo conferire dalla Santa Sede; alla morte di Camillo, nel 1580, Mons. Giovanni De Guevara nel 1633 riuscì ad eseguire il decreto del Villani. Durante la lite, l’edificio fu trascurato sia dai Loretani che dal Parroco e si rovinò.
Veramente la parrocchia era molto povera, rendeva solo otto aurei, non aveva neppure il fonte battesimale e non conservava l’Eucaristia. Nel caso di bisogno si ricorreva a S. Maria La Nova o a S. Caterina. Il 15 luglio 1710 vi fu unito il beneficio di S. Elena “alli Scarpati” e nel 1748 quello di S. Maria del Monte Carmelo.
Sull’architrave della porta è scritto, con l’immagine di S. Pietro: IANITORI POSITUM CUIUS OBTUTU POTIUS PATEAT ( A S. Pietro, posto come suo portinaio, a suo volere si apre ).
BORGO MEDIOEVALE
L’intera zona declive del centro storico conserva quasi inalterato l’impianto urbanistico assunto quando fu abbandonata la parte pianeggiante della città e all’antica cinta murale preromana fu affiancata, lungo il versante orientale, una seconda cinta di mura.
Partendo dall’ingresso del Museo Archeologico, si percorre il tratto in discesa di Via Nicola Gigli. Sulla destra, in più tratti, affiorano avanzi delle imponenti mura preromane. Sulla sinistra si imbocca Calata S. Pietro che conduce all’omonima chiesa, di sicuro impianto paleocristiano. Il campanile è raro esempio di architettura bizantineggiante; il portone è opera d’intaglio del XVII secolo conservatosi integro.
Oltre il supportico che affianca il campanile, una seconda piazzetta presenta, sui fabbricati in parte distrutti dalla guerra, portali e finestre rinascimentali e di epoche successive che testimoniano la presenza di edifici dalla notevole architettura. Svoltando a sinistra, si imbocca La Stretta, un singolare vicoletto coperto che consente appena il passaggio di una persona.
IL LOGGIONE
Il Museo Archeologico di Teanum Sidicinum ha sede in un autentico, quanto poco celebrato, gioiello architettonico: l’antica Cavallerizza del Palazzo dei Principi di Teano. La parte espositiva del museo è infatti collocata in quello che può essere definito il più grande edificio dell’architettura gotica ad uso profano dell’Italia Meridionale. Due enormi navate, scandite da grandi arcate ogivali con otto volte a crociera, racchiudono le sale del Museo come in un unico splendido scrigno alto più di dieci metri.
Alle pareti, numerose nicchie ebbero come ultima sicura destinazione l’umile funzione di accogliere le mangiatoie, ma alcune sono riccamente ornate con dipinture e con lo stemma di casa Carafa. Simile decorazione era certamente estranea ad una scuderia e ciò lascia supporre che proprio quelle navate, prima di diventare riposo di cavalli, accoglievano le adunanze del Sedile dei Leoni , il seggio ubicato presso il palazzo feudale (l’altro, il Sedile dell’Olmo , era nei pressi della cattedrale).Su questa possente struttura, fatta edificare dai Marzano durante la loro signoria nel XIV secolo (una formella con la loro Croce potenziata è ancora visibile in una delle torrette posteriori), Luigi Carafa della Stadera, acquistato il feudo di Teano nel 1546, fece innalzare il suo nuovo palazzo.
Il nipote Luigi, sposato a Isabella Gonzaga, tra le più ricche ereditiere dell’epoca (portò in dote molti feudi e un milione di ducati!), rese poi la dimora una vera meraviglia, decantata dai contemporanei per lo splendore degli arredi e dei giardini che degradavano verso la vallata del Savone.
Resa inservibile, forse per i danni del tremendo terremoto del 1688, la parte superiore del palazzo fu demolita lungo tutto il fronte meridionale e fu allora creato, sulle volte della Cavallerizza, l’immenso loggiato da cui l’intero edificio prese il nome di Loggione . Da lassù la vista spazia incantata dal litorale Domizio fino ai monti del Matese.La parte interna dell’edificio, con il lungo braccio che congiunge il Loggione alla torre cilindrica verso Piazza della Vittoria, continuò ad essere abitata, nei loro soggiorni teanesi, dai Principi di Teano: i Medina de la Torres, il Viceré austriaco Conte Daun e infine i Caetani di Sermoneta. Abolita la feudalità, questa parte dell’edificio fu acquistata dai Baroni Zarone degli Infanti e trasformata nell’elegante dimora gentilizia il cui imponente prospetto si ammira dalla rampa di accesso agli uffici del Museo.
L’altra parte fu ceduta al Comune e destinata a scuola nella parte superiore, mentre il piano basso verso Piazza Umberto, con l’antico corpo di guardia della Casina , conservò ancora per qualche tempo la vecchia destinazione di sede del Regio Giudicato e continuò a chiamarsi Il Tribunale . La Cavallerizza, con le due navate divise da un lungo muro di rinforzo eretto quando i Carafa edificarono il piano nobile, nel 1937 fu trasformata in cinema-teatro, conservando tale destinazione per circa quarant’anni.
Nei piani superiori, che ospitano gli uffici, i laboratori e le sale per mostre e conferenze, restano poche ma significative tracce di camini, scalette e passaggi dell’antico edificio, con qualche stipite delle maestose finestre rinascimentali. Un’area di scavo, lasciata in bella mostra nella pavimentazione dell’angolo nord della Cavallerizza, fa sfoggio degli avanzi di preesistenti strutture d’epoca romana. E al visitatore sembra quasi che l’edificio voglia fare concorrenza al pur notevole Museo nel rievocare fasti e splendori dell’antica Teano.
IL CASTELLO DI TEANO
Alla fine del VI secolo, i Longobardi giunsero nel territorio campano, impoverito e spopolato da un susseguirsi di carestie e pestilenze (547, 560, 576, 590) che causarono l’involuzione demografica e, di conseguenza, quella delle forze sociali e produttive. Nuove invasioni, contrasti politico-religiosi, fra il papato e i nuovi dominatori di fede ariana, provocarono da parte di Gregorio Magno la soppressione di sedi vescovili come Teano, retta da Domnino (555). Tra il 593/594 la città di Teano fu espugnata da Arechi I che vi costituì un insediamento a carattere militare antibizantino, a difesa dei confini occidentali del territorio da lui conquistato. Si venne a costituire una sorta di “Wardò”, zona di guardia che ebbe uno schema topografico fedele alla tradizione germanica, rimasta in vigore fino all’VIII secolo. Tale schema mostra un insediamento a carattere autonomo ed analogo a recetti militari simili a “motte” o castrum con esclusione di dispiegamento della città costruita con mura, torri, piazze, campanile, chiese, monasteri e palazzi loggiati.
La generale povertà dei mezzi e la scarsità delle conoscenze tecnologiche impedivano di realizzare edifici di questa portata. Impiantare un castello, allora significava innanzitutto scavare un fossato, impiegare la terra di scavo per erigere un terrapieno e fortificarlo, con una palizzata.
STALLUCCIA
Una umile stalla adibita a luogo di ristoro per i cavalli e di sosta per i carretti che salivano in città, assurse la mattina del 26 ottobre 1860 a luogo mitico della storia d’Italia. Fu qui, infatti che verso le ore 9 di quella mattina Giuseppe Garibaldi legò il suo cavallo ad uno di quegli anelli di ferro ancora incastonati nel muro e sedette su uno scanno nei pressi di una botte. I teanesi venuti a rendergli omaggio gli offrirono un cesto di fichi che Garibaldi mangiò con piacere. Non altrettanto avvenne quando Garibaldi chiese di offrirgli un sorso d’acqua: come dice il Carducci in una sua poesia, l’eroe sputò a terra disgustato l’acqua maleodorante che gli era stata portata in una brocca. In questa spalluccia si chiuse di fatto la spedizione dei Mille e da qui Garibaldi si avviò verso l’esilio sull’isola di Caprera.
CHIESA DI SANTA MARIA CELESTINA
Se ne ignora l’origine. La prima notizia si trova in un istrumento del Notaio Antonio de Latinis del 3 settembre 1510; in esso sono anche ricordate la Chiesa di santa Croce e di san Giovanni Battista, che per la povertà delle rendite, furono riunite dal Vescovo Serafino nel 1617. La piccola Chiesa, benché restaurata dal parroco Don Diego Palumbo, era troppo angusta per la numerosa popolazione della parrocchia e perciò dal dinamico Mons. Calogero Licata fu trasferita nella Chiesa di Sant’Agostino con decreto del 2 aprile 1921. (da A. De Monaco – Chiese e Conventi di Teano)
MONUMENTO AI CADUTI
Il monumento ai caduti in piazza della Vittoria fu inaugurato il 21 maggio 1921 per celebrare la vittoria ottenuta dall’Italia nella prima guerra mondiale. Il monumento è impreziosito da una statua bronzea che rappresenta la Vittoria, opera dello scultore napoletano Filippo Cifariello.
CHIESA DI SANT’AGOSTINO
Mons. D. Giordano riferisce l’opinione dei Padri Domenicani ai quali apparteneva la Chiesa: secondo il P. Emera, nel suo alfabetico agostiniano, la Chiesa fu fondata nel 1390, ma il P. Torello la crede più antica. Il convento fu soppresso da Innocenzo X con la Bolla Instauranda che ordinava l’abolizione dei piccoli conventi nel 162 e fu unito al Seminario da poco fondato. I seminaristi vi restarono poco tempo, perché si trasferirono nei locali presso la Cattedrale. Verso il 1697, 27 luglio, monastero e Chiesa con l’organo e le campane, furono ceduti alla Congrega del Soccorso, con l’onere di pagare al seminario più di 270 ducati e fornire al cappellano del Seminario quanto era necessario per la celebrazione di oltre 78 messe, come dall’Istrumento del Notaio Conti e della Santa Visita di quell’anno, La Congrega del Soccorso era stata fondata prima del 1591, ma ottenne l’approvazione solo nel 1623, con la Bolla di Urbano VIII dell’11 gennaio,; le prime regole furono riformate dal Vescovo Boldonio il 21 giugno 1676. (da A. De Monaco – Chiese e Conventi di Teano)
CHIESA DI SAN BENEDETTO
Prima di parlare della chiesa vera e propria di S. Benedetto, sita nell’omonimo vicoletto, ad occidente, nella città di Teano dobbiamo supporre che un primo nucleo benedettino fosse già attivo nel territorio teanese, in età tardo-antica, per volere di Simplicio, terzo abate di Montecassino (560-576). Secondo il cronista Erchemperto, in quel periodo si eresse una chiesa (forse ubicata là dove, in località Trinità, vi era una casa colonica denominata S. Scolastica) o meglio una cella che fu distrutta dai longobardi nel 593 allorquando Arechi I attaccò la città bassa di Teano.Tenendo conto che nel 555, sotto Domnino, a Teano venne soppressa la cattedra episcopale, si può facilmente credere come intorno a questo primo nucleo benedettino venne formandosi una comunità laica bisognosa di conforto spirituale non solo, ma che, aggregandosi, usufruì di una politica di continuità della tradizione romana che sarebbe andata, altrimenti, dispersa.
La notizia più antica dell’esistenza di una chiesa o di un cenobio intra-moenia , intitolata a S. Benedetto è dell’ 804. Prima di questa data non sono menzionati privilegi o rogiti elargiti al complesso monastico teanese. Ciò detto è confermato dalla lettura dei privilegi di papa Zaccaria in cui si elencano gli antichi e nuovi beni di S.Benedetto, affidati e riorganizzati da Petronace, abate dal 717 al 750.
La presenza della comunità religiosa benedettina teanese, diversa per natura ed esigenza dall’insediamento militare e legislativo del gastaldo longobardo, acquistò forza e spessore tanto rivelanti che, nell’857, restaurata l’antica diocesi di Teano, si ebbe come vescovo, Ilario (860), abate della suddetta comunità. Questi regolò nello stesso tempo, la vita del monastero e la realtà spirituale della città. Ciò fu possibile grazie a quell’atteggiamento tollerante nei confronti della chiesa che i longobardi ebbero nella prima metà del IX sec per fondamentali e peculiari accadimenti storici.
Avendo posto due termini temporali, 804 e 860, possiamo asserire che il complesso monastico benedettino sorse nella prima metà del IX secolo. Fu costruito prospiciente la via Latina, nei pressi della porta Superiore o Silice, oggi porta Roma. Per questa sua dislocazione, il complesso monastico benedettino oltre ad espletare funzioni religiose, aveva il compito di vigilare sui punti d’accesso all’ Area di Corte (piazza Vittoria e piazza Umberto). Infatti, nella società longobarda anche i religiosi salvo particolari privilegi, avevano l’ obbligo di vigilanza civica.
CHIESA DI SANTA MARIA DE INTUS o CHIESA DEI CAPPELLONI
Il complesso monastico, con l’annessa chiesa di S. Maria, occupa il lato occidentale della città di Teano. All’interno è circoscritto dalle antiche mura sidicine. Si estendeva dall’edificio dell’Istituto “Regina Margherita” al palazzo “Altobelli” e ad un giardino situato tra palazzo “Messa e “Capaldo”.
Voluto da Landone nell’860, iniziato per mezzo di Agilberto gastaldo suo di Teano, ne fa menzione l’Anonimo Cassinese nell’ “ Historia ”, cap. XXIV, in cui accenna alla fondazione con queste parole: «…con l’aiuto di Landone, conte e quasi sacerdote, si costruisce a Teano un monastero per le Serve di Dio». Ma Landone non lo vide edificato perché morì nel mese di febbraio dell’861, lasciando beni sufficienti non solo per la realizzazione, ma anche per assicurare il mantenimento delle monache. Il convento fu completato nell’887 da Landulfo e dalla moglie Eselberta e furono confermati tutti i privilegi, donazioni e possedimenti con un atto o meglio un rogito di Atenolfo, principe di Capua, redatto il 17 settembre del 900. La prima badessa fu Cutenberga, consanguinea (sorella) di Atenolfo. Il nostro monastero, molto ricco di beni, rientrò ben presto nelle dinamiche politiche economiche di Landulfo e Atenolfo principe tanto che nel 939 la maggior parte delle monache e le relative elargizioni furono assorbite dal Convento Capuano delle “Donne Monache” insieme alle consorelle di Santa Maria in Cingla (Ailano). L’unione dei due monasteri fu confermata nel 1016 da una bolla papale di Benedetto VIII e nel 1052 con Papa Leone IX. L’esercizio del culto continuò ad esserci in Teano, eseguito da poche monache dipendenti dalla badessa di Capua. Nel 1063, Riccardo il normanno ordinò di incendiare la città. Il monastero venne distrutto. Restaurata, la chiesa fu consacrata il primo gennaio del 1174, con la presenza della badessa Mattia e l’intervento dei Vescovi di Calvi, Teano, Sessa e Carinola. La consacrazione fu autorizzata con Bolla di Papa Alessandro III. Nel monastero furono accolte le monache di S. Maria de Foris che vi restarono fino al 1260.Nel 1304 anche le ultime monache si ritirarono a Capua ed il Vescovo di Teano volle ridurre sotto la sua giurisdizione il presbiterato e i chierici che officiavano le chiese.
Ma ciò non fu permesso dalle monache di Capua che mantennero il loro possesso sulla chiesa e sul monastero. La controversia fu lunga e sancita con pubblico istrumento del Notaio Nicola Rossi-Rubeo del 12 – IV – 1304, in cui si stabiliva che la badessa conservava il diritto sulla chiesa e sul monastero e il presbiterio e i chierici nelle sacre finzioni alzassero la sua croce, però in cambio, doveva pagare al Vescovo due libbre di cera l’anno ed intervenire al Sinodo.
Nel 1389 e nel 1621 il convento fu restaurato e, considerato un dispendioso onere per le monache capuane, fu alienato per comprare altri beni in Capua. (Il convento, del resto, fino al 1605 era stato dato in enfiteusi al notaio Sallustio de Bonis ed il 3 settembre dello stesso anno G. B. e Silvestro De Giglio comprarono per 430 aurei dal notaio il fabbricato per dar vita ad un ospizio per fanciulle povere della città. Ma lo scopo fallì e la vendita fu annullata dallo stesso notaio il 31 agosto del 1607).
CHIESA DELL’ANNUNZIATA
La Casa Santa dell’Annunziata o dell’Ave Gratia Plena di Teano ebbe origine come istituzione di assistenza all’infanzia abbandonata e alle giovani madri, certamente prima del XV secolo, su modello della Santa Casa dell’Annunziata di Napoli che i sovrani angioini avevano creato nei primissimi anni del XIV secolo.
L’Ave Gratia Plena di Teano, raggruppando varie fondazioni benefiche, svolse nei secoli un ruolo insostituibile a vantaggio dei poveri, degli ammalati, degli orfani e delle vedove. Nel suo ambito ebbero vita e si svilupparono: l’Ospedale, che ancora oggi continua la sua attività; il Monte dei Pegni, fondato dal canonico Morrone il 3 aprile 1603 per soccorrere gli indigenti; dei monti frumen-tari, con il compito di dare in prestito gratuito le sementi ai contadini; numerose fondazioni di maritaggi che fornivano un minimo di dote alle ragazze povere; due legati per la distribuzione del pane ai poveri, voluti dal canonico Santo paride nel 1596 e poi anche dal ricordato canonico Morrone.
Con il riordinamento amministrativo napoleonico, la Casa Santa, fino ad allora amministrata da tre governatori eletti dall’Università, fu “laicizzata” e trasformata in Commissione di Beneficenza sottoposta al controllo governativo. Dopo l’unità d’Italia, la Commissione assunse il nome di Congrega di Carità.
Nel 1905 l’Ospedale e il Monte dei pegni furono trasferiti nell’ala meridionale dell’antico monastero di S. Maria de Foris, opportunamente ampliata, e l’antica sede dell’A.G.P., attigua alla chiesa, fu ceduta al Comune.
La chiesa, certamente risalente agli albori del secondo millennio, e forse più antica, ebbe sfortunata sorte. Nel 1733 crollò interamente a causa di un terremoto e fu ricostruita nel 1750 nelle forme riprese dall’ultimo Restauro.
Lo attestava un’elegante iscrizione posta sulla controfacciata, che fu recuperata tra le macerie ma non è stata ricollocata nell’edificio dopo il restauro.
Il 6 ottobre 1943 fu tra i primi edifici ad essere colpiti dal tremendo bombardamento anglo-americano. Solo il campanile e la facciata rimasero in piedi. Dopo moltissimi anni, per consentire al Comune il restauro del sacro edificio e una confacente utilizzazione, il compianto Vescovo Mons. Matteo G. Sperandeo, con decreto de profanando, ne autorizzò la destinazione a usi culturali consoni all’originaria sacralità del luogo. Il restauro fu perciò indirizzato alla creazione di un auditorium o sala espositiva.